Scaramucci, sono vittima di truffa e estorsione

Scaramucci, sono vittima di truffa e estorsione

Per la procura della Repubblica è assodato che l'imprenditore sia stato truffato per 23 milioni di euro

 l'udienza per l'opposizione alla richiesta d'archiviazione della procura sulla presunta estorsione a carico di quattro indagati, è stata  rinviata dal gip Annalisa Gianfelice al 16 maggio.
«Ho cercato di far chiarezza sui tempi – dice Mauro Scaramucci (assistito dagli avvocati Francesco Voltattorni e Sara Pagnoni) - nei quali si sono svolti i fatti: il 2002 è l'anno fatidico.
Lo stesso Stefano Scarpis (Alto Partners Srl, ndr), uno degli indagati, nel suo interrogatorio non smentisce che io abbia chiesto l'affitto d'azienda dopo aver firmato un contratto che credevo fosse un compromesso d'acquisto, mentre si trattava dell'acquisizione definitiva delle quote.
Cercavo di togliermi quel capestro dal collo che poi ha strangolato Vitawell. Ma non ce l'ho fatta. Ho dovuto credere alle promesse fatte   (e mai mantenute) da Scarpis. “Abbi pazienza”, mi scrisse in un messaggio, “diventerai l'imprenditore più famoso d'Italia”.
Scarpis doveva compensare con quote dello stesso importo in Vitawell pari allo sbilancio causato dall'operazione J. Klebs. Così ho cercato di salvare Vitawell prendendo 25 milioni di euro da ''Terme di Montecatini'' e ''Wellnet'' Spa con l'intento di restituirli, invece sono stato costretto a commettere quelli che i magistrati configurano come reati con tutte le conseguenze umane e patrimoniali». Per quelle appropriazioni Mauro Scaramucci ha chiesto un patteggiamento allargato alla Procura che sta valutando la richiesta anche sulla base della relazione del curatore fallimentare di Vitawell Mario Volpi attese per la fine del mese. Il procuratore Franco Ponticelli accerta l'esistenza documentale della truffa aggravata per circa 23 milioni di euro ai danni di Mauro Scaramucci, presidente del Gruppo Vitawell, chiede però l'archiviazione parziale per il reato di estorsione.
La denuncia verte sull'acquisto del gruppo J. Klebs di Ferrara, ne fa parte la Jean Klebert Spa, controllata al 70% da Fineco/Development Capital, risultata un pozzo di S. Patrizio di debiti invece che una gallina dalle uova d'oro come dipinta dagli indagati all'ex re del benessere. Quella richiesta d'archiviazione fa andare su tutte le furie gli avvocati degli indagati (Filippo Sgubbi e Giampiero Biancolella). E' un atto d'accusa micidiale.
Nero su bianco è scritto come Scaramucci sia stato indotto in inganno e raggirato dal fondo d'investimento lussemburghese, suo socio di minoranza, e dall'advisor dello stesso. Il procuratore Ponticelli percepisce pure che il comportamento di Scaramucci in quell'operazione può essere stato determinato da cause esterne alla sua volontà, ma secondo la procura non si sono trovate prove schiaccianti o dichiarazioni di testi atte a sostenere in dibattimento l'accusa di estorsione.
Scaramucci si oppone all'archiviazione.
Sostiene che si è trattato non della classica estorsione con pistola alla mano, ma del tipo ambientale: la minaccia del fallimento sicuro se non avesse accettato di proseguire nel contratto di acquisto dal quale aveva tentato di recedere una volta accortosi del ''bidone” Jean Klebert. Per questo Scaramucci prospetta l'affitto d'azienda, soluzione che sarebbe stata esclusa da Stefano Scarpis, uno degli indagati.