Ahmetovic: «Non sono un mostro»

Ahmetovic: «Non sono un mostro»

Il padre di Alex: «Il 30 ottobre in catene davanti al Parlamento per chiedere pene più severe»

Venerdì scorso Ahmetovic è stato condannato dal Tribunale di Ascoli Piceno a sei anni e sei mesi di reclusione per l'omicidio colposo plurimo di Eleonora Allevi, Danilo Traini, Alex Luciani e Davide Corradetti, tutti fra i 16 e i 18 anni. Per ora li trascorrerà, salvo una revoca del provvedimento, agli arresti domiciliari, nell'alloggio messogli a disposizione da un italiano, davanti al quale anche oggi, oltre alle pattuglie delle forze di polizia, si sono viste troupe televisive e giornalisti. L'italiano si diletta di poesia, e da questa circostanza - sostiene l'avv. Franchi - potrebbe nascere l'indiscrezione secondo cui Ahmetovic ha intenzione di scrivere un libro sulla vicenda. Libro del quale il legale dice di «non sapere nulla, anche perché Marco non sa fare bene neanche la firma». «I quattro ragazzi - ha detto di nuovo il rom al difensore - li conoscevo tutti, ci sono andato a scuola, e mai avrei voluto che tutto questo accadesse». Frasi identiche a quelle già agli atti del processo, come il ripetere sempre che lui «si sente italiano, perché nato a Caserta» e che quei quattro giovanissimi in fondo non li ha uccisi «con una pistola». I parenti delle vittime però non sono disposti a credere ad alcun pentimento, insistono che Ahmetovic era pericoloso, perché sempre ubriaco, e pensano di costituirsi in un comitato, andando a manifestare a Roma, contro leggi «troppo permissive».

 LE REAZIONI DEI PARENTI DELLE VITTIME

Lara Luciani, la mamma di Alex, afferma: «Se Ahmetovic sostiene di sentirsi italiano...allora siamo noi che non siamo più italiani, non ci sentiamo più protetti dallo Stato». Dopo la sentenza, Marco Ahmetovic è tornato agli arresti domiciliari in un residence di Porto d'Ascoli, meta da giorni di troupe televisive e giornalisti. Ma è il richiamo all'italianità che ancora una volta fa infuriare i genitori delle vittime: «Guardi - sbotta Timoteo Luciani - io un'idea precisa dei rom ce l'ho. Li conosciamo da tanto, sappiamo come vivono, e non mi vengano a raccontare che a sbagliare siamo noi». «Ci hanno descritto come razzisti, mezzi terroristi - attacca il padre di Alex, citando opinionisti di quotidiani - ma siamo solo famiglie che lavorano 20 ore al giorno». «Loro invece, i rom, tollerati per 11 anni - aggiunge la moglie - non rispettano nessuna regola, a cominciare dal guidare contromano. In paese, quasi tutti hanno una e una sola idea di cosa vuole dire 'rom': moglie e figli piccoli tutte le mattine davanti al centro commerciale a chiedere l'elemosina; padri nei bar a ubriacarsi. E la sera, 100 o 200 euro di monetine da cambiare in carta moneta nel negozio di telefonia. Troppi sei anni agli arresti domiciliari? Dovevano dargli l'ergastolo a Marco Ahmetovic, anzi non uno, ma quattro ergastoli - ha aggiunto Timoteo Luciani - Appignano è arrabbiata, lo siamo tutti. Il 30 ottobre andremo a incatenarci a Roma, davanti al Parlamento, per chiedere pene più severe e la certezza della pena, più una riduzione dei gradi del giudizio». Difficile che le richieste di perdono di Marco («mai avrei voluto che tutto questo accadesse, quei ragazzi li conoscevo tutti, sono stato abbagliato dai fanali dei motorini»), o del padre Majo smuovano queste certezze. E peggio sarà se il 12 ottobre il Tribunale del riesame non revocherà gli arresti domiciliari ottenuti da Ahmetovic per un vecchio tentativo di rapina, rimandandolo in cella. O se il difensore, ripetutamente minacciato di morte, presenterà appello e otterrà uno sconto di pena. «Ahmetovic deve stare in carcere, e scontare tutta la pena, e come lui tutti quelli che guidano ubriachi, anche gli italiani certo» riconoscono i familiari delle vittime. Barricato nell'appartamento di un amico 'poeta' italiano, nel residence di turisti, e anziani con poca voglia di parlare, Marco Ahmetovic starebbe meditando di scrivere un libro. «Io non ne so niente - taglia corto l'avv. Franchi - e poi, Marco non sa fare bene neanche la firma» . A scuola ci è andato, ha fatto la quarta, la quinta elementare e la prima media proprio con Eleonora Allevi, ma già alle medie non aveva più voglia di studiare, o non ne aveva il tempo. «I libri glieli pagava lo Stato - ricorda un genitore - a loro sì, e ai nostri figli no. Poi però i padri giravano in Bmw e Mercedes. Le pare giusto?».