Carassai - Crediamo di non errare se scriviamo che nelle Marche, con il percorso che sta portando alla costituzione della cooperativa agricola di comunità “Rocca Madre”, si sta verificando un fatto così originale da scuotere le certezze della normale programmazione in agricoltura.
Tutto parte dalla decisione del Comune di Fermo di approntare un bando per l’affidamento di circa 600 ettari di terreno intorno al “Castello di Monte Varmine”.
Siamo di fronte ad un processo di base innovativo. Fino ad ora gli incontri partiti nel 2014, grazie all’organizzazione di diverse associazioni, da Luoghi Comuni a Sibilla Arte, Pro Loco d Carassai e altri, ha portato ben 130 persone alla manifestazione d’interesse per la costituzione della cooperativa. Il trenta per cento di queste persone sono giovani.
Il castello, la rocca del XIV secolo, si trova 4 km dal paese di Carassai. Si tratta di uno dei castelli delle Marche rimasto integro. Possiede mura poderose, l’alta torre dai merli ghibellini (35 m) munita di arciere e piombatoi.
È uno dei pochi esempi di fattoria fortificata del Piceno. Pur insistendo sul territorio di Carassai, Rocca Monte Varmine è proprietà del comune di Fermo, che l’ha ereditata dall’Opera Pia Brefotrofio, la struttura più grande delle Marche con i suoi tanti ettari di terreni.
La professoressa Olimpia Gobbi, ieri sera presso il comune di Carassai, presente il sindaco Vincenzo Polini, ha illustrato la storia di questa realtà: nel 1.341 per iniziativa di un gruppo di nobili fermani si era costituita la confraternita intitolata a S. Maria della Carità.
Fu costruito un ospedale per i poveri. In seguito l’ospedale, nel 1.417, ebbe un cospicuo incremento perché Matteo di Buonconte, nobile fiorentino, signore del feudo di Massa e proprietario dei beni del castello di Monte Varmine, lasciò per testamento all’ospedale di S. Maria della Carità di Fermo tutti i possedimenti del castello. Poi l’ospedale muta la sua missione e prende vita l’Opera Pia Brefotrofio.
Tutto ciò che si produceva nei terreni dell’Opera Pia era destinato agli orfani, ai bisognosi.
“Ora - dice Olimpia Gobbi - lo spirito della costituenda cooperativa agricola di comunità recupera quei valori e lo scopo è quello di produrre agricoltura biologica per il territorio, con lavoratori che abbiano il giusto reddito e con cittadini consumatori che abbiano una filiera corta senza coercizione da parte delle multinazionali che regolano il mercato agroalimentare nel mondo”.
I soci saranno di diversa tipologia: soci lavoratori, soci conferitori (che svolgano già attività in agricoltura, magari gli stessi agricoltori già affittuari di parte di quei terreni) e soci promotori (che hanno il solo scopo di promuovere una realtà di questo tipo al servizio del bene pubblico).
Ieri a Carassai c’erano diversi affittuari di alcuni terreni della Rocca di Monte Varmine. Molti si sono lamentati della gestione delle passate amministrazioni che si sono avvicendate al comune di Fermo. Affitti non sempre equi e per così pochi anni da non consentire né programmazione agricola, né investimenti.
La preoccupazione di qualcuno di loro è stata quella di carattere economico: per fare agricoltura occorrono risorse.
Preoccupazione dettata anche da un progetto faraonico da 50 milioni di euro di qualche anno fa, di fatto mai partito.
Le risposte su questo fronte hanno riscosso consenso: si procederà da marchigiani, facendo il passo secondo la gamba. Ma una simulazione fatta dai tecnici, che sono presenti nel gruppo che sta progettando la cooperativa, scrive anche dei numeri di partenza sia nella programmazione agricola su 60 ettari che nel capitale sociale che si sta raggiungendo: si potrebbe arrivare a 90 mila euro se i soci diventassero 300, visto che una quota sociale costerà 300 euro.
La storia fa da piedistallo anche ai numeri. Si diceva che in agricoltura per ogni ettaro si doveva contare su una persona che la lavorasse per essere produttiva. E il sindaco Polini conferma questa statistica dalle presenze nel cimitero relative a quell’epoca. Sono 700 i defunti che provenivano dai 700 ettari di terra del Castello di Monte Varmine.
Il progetto della cooperativa “Rocca Madre” certo non riporterà tutte quelle persone nell’area, ma fino ad ora sono in ballo ben 130 le famiglie che hanno manifestato interesse.
Anche i dubbi sulla produzione biologica sono stati fugati. Di fatto 50 anni fa la produzione era biologica ed è più semplice produrre agricoltura biologica su vasti appezzamenti di terreno piuttosto che su tre ettari di terra quando ai due confini ci sono agricoltori che praticano un’agricoltura basata sulla chimica.
La gestione pubblica di questa ricchezza inespressa fino ad ora ha mostrato tutte le sue problematicità: si sono venduti pezzi di terra per fare semplicemente cassa, quando dal punto di vista testamentario questi beni dovevano servire solo a produrre risorse primarie per i bisognosi, si sono lasciate al degrado ben quaranta casali rurali.
Lo scopo della cooperativa “Rocca Madre” ora è quello di rispondere al bando che il Comune di Fermo sta redigendo e che dovrebbe essere pronto per la fine del mese o per i primi di febbraio.
L’amministrazione fermana ha imboccato la strada giusta, ma dovrà tenere ben presente le missioni dei diversi soggetti che andranno a rispondere al bando.
A questo punto si spera che chi ha una missione sociale e originalissima, come in questo caso, possa contare su punteggi premiali rispetto a chi ha solo capitali da investire.
Insomma, a nostro avviso, nel bando che si sta approntando il Comune dovrebbe rifarsi alla storia e a quei nobili che avevano “costruito” in senso etico questa enorme proprietà terriera destinata al sociale.
Per concludere: si eviti di costruire strade burocratiche lastricate per i “nipoti” della Monsanto.